1950-'51: Vado vedo e...torno!

Dal 10 settembre 1950 al 17 giugno 1951, senza variazioni. Milan campione p. 60. Internazionale, Juventus e Lazio a p. 46, come la stagione precedente. Roma fatalmente penultima. Retrocede insieme al Genoa, p. 28.
Squadra titolare: Tessari, Tre Re, Eliani, Andersson, K. Nordhal, Venturi, Lucchesi, Spartano, Tontodonati, Bacci, Zecca. Riserve: Cardarelli, Merlin, Maestrelli, Sundqvist. Tre allenatori: Baloncieri fino al 17.12.50; Serantoni fino al 29.4.51; poi Masetti.
Partite vinte 10, pareggiate 8, perdute 20. Gol segnati 48, incassati 54. Capocannoniere: Sundqvist gol 9.

Fu la stagione del saccheggio degli svedesi, conseguenza della sconfitta che il 25.6.1950 la loro nazionale aveva inflitto in Brasile agli azzurri, come sempre troppo sicuri (alla vigilia) del fatto loro. Fu invece un rapido addio alla Coppa del Mondo, e i difficili cognomi dei giovanotti biondi autori dell'impresa sembrarono provvidenziali a numerose società italiane. Vincenzo Biancone, che come tutti sentiva l'assillo della retrocessione, stava facendo rodaggio al seguito della nazionale con le funzioni di segretario. La presidenza giallo rossa (mentre avanzava Sacerdoti il più in vista era il dr. Meloni, delegato di Restagno) chiese al fedele funzionario di segnalare gli svedesi che avrebbero potuto dare una mano per il rilancio della squadra verso posizioni più congrue e dignitose. Biancone segnalò, dopo qualche contatto diretto, Skoglund, Palmer e K. Nordhal. Ma il primo si mise all'asta e finì all'Inter, il secondo prese tempo, il terzo soltanto si degnò. Insieme a lui arrivarono Andersson e Sundqvist. Altri di maggior calibro, come Jepsson, avevano preferito il clima della VaI Padana. Serviva anche un portiere e arrivò Luciano Tessari, che restò a lungo con diversi incarichi. Serviva un terzinoe arrivò Eliani, bel soggetto approdato anche in nazionale.
Ma fosse sfortuna, fosse destino, avvenne che una squadra discreta sulla carta mancò in pieno sul campo. Forse non si pensò o non si ebbe il tempo di pensare che i bravi svedesi avrebbero trovato enormi difficoltà nell'inserirsi da un mese all'altro in una formazione zoppicante che bruciava giocatori e tecnici, uno dopo l'altro. La Roma partì con tre sconfitte consecutive. Alla quinta giornata la Juve le rifilò 7 gol (a 2), alla settima l'Inter un rovinoso 6-0; e nel frattempo la Lazio aveva vinto il derby (impresa bissata nel ritorno). Qullo non fu un campionato, fu un calvario. E non servì trasferire la sede in via del Quirinale.
Il 21 marzo '51 quando già la retrocessione appariva più che probabile e i dirigenti discutevano senza trovare un accordo, se fosse più utile elargire premi smisurati o mettere tutti a stecchetto, il senatore Restagno trovò il tempo per riunire il consiglio direttivo al completo o quasi. Disse una frase pittoresca: «Credevo che sul presidente di una società di calcio piovesse, ma non che diluviasse!». Aggiunse che al senato aveva troppo da fare e propose perciò la scelta immediata di un commissario straordinario. Si sa come vanno queste cose. Era già tutto prestabilito. Fu acclamato Renato Sacerdoti che disse: «Mi mettete in pasticci grossi ma sarei un vile se mi tirassi indietro». Vice-commissario fu eletto Pietro Baldassarre, giusto riconoscimento a chi aveva tenuto a galla la società quando tutti se l'erano squagliata. Nel nome della Roma i due tenaci rivali si erano riconciliati; ma sul piano pratico e immediato era troppo tardi. Neppure la soccorrevole disposizione nell'ultima giornata di un Milan ormai campione, con Nordhal Gunnar che non se la sentiva di dare un dispiacere a Nordhal Kunt, bastò ad evitare ai giallorossi il crollo in serie B. Fu a questo punto che la passione dei tifosi trovò nell'abilità e nell'energia di Sacerdoti l'appoggio necessario all'immediata resurrezione.

Tratto dal libro AS Roma da Testaccio all'Olimpico (libro edito nel 1977)

 

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